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Luca Iaccarino

Klugmann e Baronetto: l’avanguardia italiana vista dalla Spagna

Permettetemi una breve riflessione in coda al congresso gastronomico Madrid Fusion, di cui s’è conclusa ieri l’edizione del ventennale. Madrid Fusion è uno degli appuntamenti più importanti del pianeta cibo, e per i suoi vent’anni ha invitato gli chef più importanti, dalla Spagna, naturalmente, ma non solo. C’erano Virgilio Martinez e Gaston Acurio dal Perù e Alex Atala dal Brasile, dalla Danimarca René Redzepi e Rasmus Munch, dalla Spagna tutti, Muñoz, Andoni, Adrià…

Sul palco principale si sono susseguite tante lezioni interessanti e spettacolari, ma solo due sono state affidate ai cuochi italiani (per il nostro paese c’erano anche Pepe e Fusto, in altre sale). A due cuochi italiani la cui selezione non era affatto scontata: Matteo Baronetto e Antonia Klugmann. La scelta di Klugmann e Baronetto, dicevo, non è intuitiva: hanno entrambi una stella, sono fuori dagli epicentri della gastronomia italiana – lei in Friuli, lui a Torino –, non hanno mai spinto sulle PR come altri più celebri colleghi.

Dunque, il fatto che José Carlos Capel – fondatore e direttore del congresso – abbia scelto loro non può essere stato casuale. Tantomeno frutto di pressioni di uffici stampa o simili. A vedere sul palco i due italiani, sembra che ci sia stata una scelta consapevole. Un’idea di quello che potrà essere la cucina italiana del futuro.

Baronetto e Klugmann sono molto diversi, ma hanno alcune cose in comune: sono l’opposto dell’idea del cuoco italiano nel modo di fare, nel loro essere riservati, piuttosto severi; sono l’opposto del cuoco italiano dai piatti ricchi, colorati, golosi, piacioni, loro realizzano piatti essenziali, talvolta persino austeri; sono tra i cuochi italiani più intelligenti e colti che ci siano, e questo si vede nei loro piatti. 

Capel non ha invitato celebrities (a dire il vero Bottura doveva partecipare all’inaugurazione ma era impegnato nel varo della Gucci Osteria di Seoul), niente tre stelle, niente nomi da 50 Best, niente clienti di PR di peso. Non ha invitato “i soliti”, gli chef pur bravissimi ma che sono sempre, ovunque, comunque. Ha invitato due cuochi che hanno una cosa in comune: fanno un discorso totalmente personale. Orgogliosamente personale. Baronetto prende la cucina borghese, anche quella francese, e la spoglia di tutto; Klugmann attinge al paesaggio intorno a sé ma senza le sovrastrutture di altri colleghi che lavorano sul mondo selvatico. Entrambi fanno la loro cosa, anche a costo di non piacere a tutti. Anche a costo di metterci più tempo per arrivare al traguardo. 

Così,  le lezioni di Baronetto e Klugmann – in mezzo a quelle di tanti cuochi supertecnici e superopulenti – sono sembrate una cosa altra, diversa. E questo mi ha fatto pensare che nella testa di Capel quella può essere una nuova strada per la cucina italiana, un’avanguardia (e come tutte le avanguardie, non sempre facile da comprendere).

“L’unico modo per fare avanguardia – ebbi occasione di sentire da Ferran Adrià – è fare qualcosa di totalmente personale.” Se questo è vero, forse a Madrid abbiamo visto una delle possibili avanguardie italiane.