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WE ARE BRUNN

Let’s Work Together

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Luca Iaccarino

Perché i cuochi hanno smesso di fare i cuochi (e perché è grave)

E così pare che nessuno voglia più lavorare. Nelle discussioni di queste settimane dedicate alle crisi di vocazioni nel settore della ristorazione – non si trovano camerieri, non si trovano cuochi, non si trovano lavapiatti, non si trova nessuno – mi pare che si stia ignorando il contesto. La mancanza di lavoratori è generalizzata. Nessuno vuole più lavorare. Gli aerei rimangono a terra perché non ci sono controllori di volo, i presidenti di seggio di Palermo preferiscono andarsene alla partita piuttosto che fare il proprio dovere, i dipendenti si licenziano in massa accalcandosi all’uscita come lemming sulla scogliera, persino Giorgino non ha voglia di alzarsi presto la mattina e questo gli costa il TG1 delle venti. In Italia come in America, in Spagna come in Francia.

 

La narrazione prevalente dice: questo cambio di atteggiamento è causato dalla pandemia. La narrazione prevalente continua: abbiamo riscoperto i veri valori della vita, abbiamo “ripensato le priorità”. Chi preferirebbe stare chiuso in un loculo a fare il call center quando la vita è fatta di corse a piedi nudi nel parco e di spritz in fronte al tramonto? La narrazione prevalente mette in bocca a tutti la celebre frase di Jep Gambardella: “non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare!” Siamo tutti Jep, anche chi ha vent’anni (che c’entra: la vita è breve, anche a vent’anni non te ne rimangono da sprecare). La narrazione prevalente è, sostanzialmente, assolutoria. Dice: come dare torto a uno che preferisce suonare l’ocarina o rimettere a posto la collezione di Micronauti piuttosto che ingessare gambe al pronto soccorso?

 

E, invece, no. Invece: no. Non c’è niente da assolvere. È colpa della pandemia, è vero, perché è la pandemia che ha deteriorato il nostro rapporto con il lavoro. Tra casse integrazioni, call, smart work, appuntamenti saltati, commesse andate a male, difficoltà, la nostra relazione con ciò che ci dà da mangiare è drammaticamente entrata in crisi. I cuochi, i camerieri, gli stagionali così come tutti gli altri lavoratori non hanno smesso di lavorare perché passano le mattine inseguendo garruli le farfalle, ma perché non capiscono più il senso del lavoro. E il lavoro, cavolo, un senso ce l’aveva prima della pandemia e ce l’ha ora, senza andare a ripescare Marx e tutti gli altri esimi pensatori: il lavoro ci definisce, ci realizza, dà da mangiare ai nostri figli e, qualche volta, sa persino farci felici. Lavorare è bello (e si fa l’amore, diceva Celentano). Per rimanere nel paradigma Ottocentesco, la pandemia ci ha liberati DAL lavoro – che è un male – quando invece dobbiamo liberarci NEL lavoro.

 

Dunque, io dico: cuochi, camerieri, tutti quanti, tornate a lavorare. Pensiamo alle condizioni, alle garanzie, ai turni, a tutto quanto, ma tornate a lavorare. Questo stare a casa e lontani dalle responsabilità, dalla produzione, dalla realizzazione non somiglia alla libertà, somiglia a un rifiuto del vivere assieme e qualche volta persino a una sorta di depressione collettiva. E invece la cucina è piena di energia, diamine. Cucinare è vivere, non vivacchiare.