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Luca Iaccarino

La goduria di Disfrutar

Viaggiare, mangiare, bere: finalmente si ricomincia. Siamo un po’ arrugginiti, la burocrazia ci impensierisce – avrò allegato tutta la documentazione al biglietto aereo? – ma, diavolo, ci siamo. Così eccomi all’aeroporto di Barcellona. Oggi ho in programma un uno-due di quelli che fanno un goloso felice: un ristorante e un bar che hanno contribuito a definire il “Catalan touch” nella storia della gastronomia e della mixology globale. Cioè: tecnica, divertimento, effetti speciali, idee bizzarre, colori, gusto barocco, rigore e spasso. È dunque con la salivazione a mille che suono al campanello di Disfrutar.

Disfrutar è stato aperto a fine 2014 da Mateu Casañas, Oriol Castro e Eduard Xatruch. Prima, los tres erano stati colonne del tempio di Ferran Adrià, elBulli, il ristorante più rivoluzionario di fine secondo millennio. È sette anni che aspetto questo momento e adoro che si entri dalla cucina: banconi, laboratori, fuochi, e dietro cuochi, cuochi, cuochi. Quindi ecco una sala luminosa e un giardino d’inverno tutto piante e luce naturale. “Diavolo – penso – quanto mi sono mancati i grandi ristoranti internazionali.”  Nelle tre ore che seguono si dimostra mostruosamente vero. Mi erano mancate le chiacchiere con lo chef – conobbi Oriol anni fa, mi accoglie con garbo –, lo stile spagnolo, ma soprattutto la teoria di 30 corse del menu “Disfrutar Classic”, con i cavalli di battaglia (210 euro; Disfrutar è quinto nel ranking 50 Best Restaurants 2021). Petali di rose e sferificazioni multiple, bomboloni farciti di caviale Beluga (MAMMA MIA!) e piatti serviti in sculture, spume e spugne, fumi e ghiaccio. Idee nate negli anni Novanta ma tutt’oggi buonissime: le cose squisite sono sempre contemporanee.

Non pago dei trenta piatti, la sera mi concedo il cocktail bar, uno dei più famosi del pianeta. El Born, quartiere storico a un passo dal porto. Un piccolo negozio di alimentari. Ma qui nulla è ciò che sembra: lo sportello del frigo è in realtà una porta, che conduce a una sala scura come una foresta. Un guscio di legno, un prato sul soffitto, luci basse, le giacche dei bartender che paiono il jungle dress di J.Lo. Il re del Paradiso è l’italiano Giacomo Giannotti, e mi mostra un menu che parla di costellazioni. I cocktail sembrano fatti della materia delle stelle: ci sono quelli luminosi, quelli fluorescenti, quelli che ghiacciano, quelli sormontati da una nuvola al sapore di caffè. Tutti di grande equilibro e sapore. In accompagnamento: pastrami & pickles. Poi un altro trick: la parete del bagno è un’altra porta, che conduce in uno speakeasy dentro uno speakeasy. Se in paradiso si servono alcolici, dev’essere un posto così. 

(Pezzo pubblicato su “Around the Blog” di Compagnia dei Caraibi)