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Luca Iaccarino

Milano ha una nuova Anima? (ovvero: l’ultimo nato di Bartolini)

Così giovedì sera mi ritrovo sul divanetto di Anima a chiacchierare con lo chef più stellato d’Italia, Enrico Bartolini. Bartolini mi piace: severo, duro, concentrato, non ha un grammo di ruffianeria né di grasso in eccesso, “quando finisco di lavorare faccio la doccia, cento flessioni e pesi.”

Settimana scorsa sono andato a pranzare al MUDEC (lo trovate nella mappa in questo sito), l’unico tre stelle di Milano, fiore all’occhiello della galassia di Bartolini che conta una decina di ristoranti tra Italia e mondo. Da MUDEC – al terzo piano del Museo delle Culture (l’ho visitato giovedì: due mostre splendide, dedicate a Henri Cartier-Bresson e Mondrian) – avevo mangiato molto bene. 

Due piatti, soprattutto: gli squisiti bottoni di olio e lime in salsa cacciucco e polpo (uno dei classici dello chef); lo spaghetto fresco con limone tostato, calamaro, whisky e caviale (mamma, che buono). Due bombe di gusto, di totale gratificazione, golosità. Che gioia (sbavo al solo ripensarci). Uno invece meno convincente, per quanto ricco: l’alice, con ostrica del Delta del Po e caviale sulla carta mi sembrava perfetto – tre ingredienti che adoro, in ordine crescente dal pop al top – invece in bocca mi è parso ricordante, come se tanti gusti buoni, confondendosi, perdessero forza. Avevo speso 230 euro, con un bicchiere di vino (30 euro, diamine) e il caffè offerto, ché c’è una proposta da 200 euro per 3 piatti (e 240 per quattro). Molti soldi, ma con due piatti su tre super, squisiti amuse-bouche, due ore di vera goduria e un servizio piuttosto low-profile che a me è piaciuto, mi ha messo molto a mio agio: odio le sale che vogliono ostentare la propria competenza. 

Ciò detto, giovedì invece sono ospite: Bartolini mi ha invitato a provare Anima, il ristorante dentro dentro l’albergo UNA – Milano Verticale a Milano, quello che avviò con Franco Aliberti con il quale il rapporto si concluse in un batter di ciglia. Ora in cucina c’è Michele Cobuzzi, un adorabile ragazzo pugliese che applica la “pugliesità” al fine dining: nella serata mangerò molti più piatti di quanti il mio fisico possa sopportarne, ognuno ricco di gusto, gola, rotondità. Così, dopo la chiacchierata con Bartolini – “adoro Milano, hai proprio la sensazione di essere connesso con il mondo, è l’opposto di una città provinciale” – eccomi con le gambe sotto il tavolo. I menu sono due – “Le mie certezze”, 125 euro, e “Intensità”, 150 – e di fatto io li prendo entrambi. 

I miei piatti preferiti? Fave secche, gambero rosso, cicorietta e peperone crusco; bottoni di gallina nostrana, cime di rapa, pomodoro confit e limone candito; anguilla laccata, cavolfiore all’acciuga e brodo di anguilla e alghe; soufflé alla liquirizia, yogurt caramellato e lamponi (un soufflé perfetto). Ogni piatto è goloso, qualcuno persin troppo, sommando forse un elemento in più: il rombo con cavolo di Custoza e il curry è servito con due salse, quella con il curry ma pure una mugnaia, che personalmente ho trovato “rumorose” (direi: O curry, O mugnaia). La sensazione è quella adorabile che si prova dai parenti o dagli amici pugliesi, che per eccesso di accoglienza ti travolgono ti cose buone. Ciò detto la serata scorre soffusa, in questa lunga sala scura, seduto al tavolo accanto alla cantina, con il servizio di Graziana che mi piace come quello di MUDEC: gentilezze ed empatia, senza sussiego da ambiente lussuoso.

Milano ha un nuovo indirizzo di fine-dining attraente? Le condizioni ci sono tutte. Tornerò da pubblico pagante, mangerò un menu solo – per provare un percorso così come è stato pensato, mentre giovedì sono uscito che parevo una mongolfiera – e vi aggiornerò. Certo, gli spaghetti del MUDEC ancora me li sogno. Qui da Anima devo capire cosa mi ricorderò tra una settimana.